San Gerardo Maiella • 16 ottobre
È stato un religioso italiano della Congregazione del Santissimo Redentore. Beatificato da papa Leone XIII nel 1893, è stato canonizzato da papa Pio X nel 1904.
Muro Lucano (PZ), ridente e popoloso paese della Basilicata, aveva attratto Domenico Maiella, modesto sarto di Baragiano (PZ) in cerca di lavoro. La fortuna lo aveva aiutato poiché non solo trovò una bottega ove svolgere il suo mestiere, ma incontrò anche Benedetta Galella che felicemente sposò. Sembrò che la fortuna gli avesse voltato le spalle quando dopo Brigida, nacque Gerardo che morì dopo appena otto giorni. Nacquero però ancora Anna e poi Elisabetta e finalmente ancora un maschietto, di nome Gerardo il 6 aprile 1726. Era una famiglia dai modesti mezzi di sostentamento, ma laboriosa e dotata di molta fede in Dio. Nel quartiere Pianello, Gerardo visse i primi anni di spensierata fanciullezza, facendosi penetrare soprattutto dalla grazia di Dio. In casa costruiva altarini e imitava le funzioni sacre che si svolgevano in chiesa. Capeggiava una frotta di altri frugoletti che portava in un giardino di periferia, davanti ad una croce appesa a un albero.
Era la primavera del 1732. Una sera mamma Benedetta vide irrompere Gerardo in casa, gridando: “Mamma, guarda!...” Aveva in mano un bianco panino regalatogli, disse, da un bambino di una Bella Signora. L’episodio si ripeté ancora per molte volte. Da religioso, a Deliceto, dirà alla sorella Brigida: “Ora so che quel bambino era Gesù”. “Vieni di nuovo a Muro così lo potrai rivedere”, replicherà la sorella. “Non c’è bisogno, dovunque io sto lo trovo dappertutto”, risponderà Gerardo. Da fanciullo desiderò ricevere la comunione, si accostò all’altare; ma era troppo piccolo e il prete passò oltre. Al mattino seguente, Gerardo confidò a Caterina Zaccardo: “Sapete, ieri il parroco mi ha rifiutato la comunione; questa notte invece me l’ha portata l’Arcangelo S. Michele”. A dodici anni però moriva il padre e Gerardo dovette dedicarsi al lavoro per portare pochi spiccioli in casa. Presso la bottega di Mastro Pannuto apprese il mestiere di sarto. Al lavoro responsabilizzato unì la preghiera e l’imitazione sempre più perfetta di Gesù. A sedici anni Gerardo andò a Lacedonia in qualità di cameriere di mons. Claudio Albini, uomo di grande erudizione, ma di carattere intransigente. “Poveretto! Non immagina quello che lo attende”, commentava la gente. Il palazzo vescovile invece fu testimone di un Gerardo servizievole e dolce, silenzioso e dimesso. Un giorno nell’attingere acqua, la chiave dell’episcopio, gli sfuggì di mano cadendo nel pozzo. Lui non si scoraggiò. Prese una statuina di Gesù Bambino, la calò nel pozzo... tirò la corda... alla manina pendeva la chiave. Sarà chiamato il “pozzo di Gerardiello”.
Aprile 1749. A Muro Lucano quattro sacerdoti della Congregazione del SS.mo Redentore, fondata nel 1732 da Alfonso Maria de Liguori (1696-1787) predicavano una missione in cattedrale. Gerardo attratto dallo stesso ideale, chiese insistentemente di farne parte. “Questa vita è troppo dura, non è per te”, replicò il Padre Cafaro, superiore della missione, “Sei troppo gracile e poi devi pensare alla tua famiglia”. Alla partenza dei missionari, fu chiuso in casa dalla mamma, ma lui non resistette. Con le lenzuola fece una corda e si calò dalla finestra lasciando un biglietto: “Mamma, perdonami, vado a farmi Santo”. Raggiunse i missionari. “Ricevetemi” pregò, insistette; “mettetemi alla prova”; supplicò di nuovo. Il Padre Cafaro, scorgendo un segno del cielo, davanti alla sua insistenza, lo accettò inviandolo a Deliceto, ove era stato costruito il terzo convento della nascente Congregazione. Era il 17 maggio 1749. Gerardo aveva quasi 23 anni. “Che bel regalo ci ha fatto il Padre Cafaro!”, ironizzò il Superiore scrutando la sua debole salute. Il nuovo arrivato, invece, sotto lo sguardo materno della Mamma della Consolazione e con il cuore calamitato dall’amore dell’Eucaristia sbalordì i religiosi. Infaticabile ad ogni lavoro, “lasciate fare a me, - diceva - io sono più giovane”. Camminava verso la perfezione riproducendo in sé l’immagine di Cristo. Il suo cuore viveva di amore di Dio, era alimentato dalla preghiera, viveva nella sofferenza. Soffrire per amore di Dio, soffrire per Gesù, soffrire come Gesù. Era il suo programma. Il 17 luglio 1752, nella chiesa della Madonna della Consolazione emise i voti religiosi di povertà, castità, obbedienza, perseveranza nella vocazione religiosa. Ormai professo, iniziò la sua vita apostolica seguendo i sacerdoti nelle missioni oppure in cerca di fondi per il poverissimo Istituto. Gerardo, dai tre centri ove visse: Deliceto, Napoli, Materdomini, irradierà il suo amore a Dio. Egli passerà facendo del bene, come Gesù, scuotendo animi e cuori, seminando grazie e miracoli e trascinando col suo fascino, per città e contrade, folle avide di vederlo, di sentirlo, di essere guidate nella via della perfezione. “Andate a parlare con Fratel Gerardo”, dicevano i missionari ai peccatori più recalcitranti. Essi venivano trasformati in felici penitenti. “Vale più una chiacchierata con Fratel Gerardo che un intero quaresimale” dirà Teodoro Basta, Vescovo di Melfi.
Napoli. Riconosciuta la sua innocenza, dopo la calunnia, ordita ai suoi danni da una certa Nerea Caggiano, fu mandato a Napoli in compagnia del Padre Margotta, Procuratore della Congregazione per sbrigare delle pratiche. Si poté così dedicare maggiormente alla preghiera e a un apostolato più intenso. Egli stesso, scrivendo una lettera dirà: “Io mi trattengo, qui in Napoli ed ora più che mai me la scialo col caro mio Dio”. Cominciò a prodigarsi visitando gli ammalati all’ospedale degli Incurabili. Da qui passava ai marciapiedi delle strade: incontrò i poveri e li sollevò dalla loro miseria. Dai marciapiedi passò alle botteghe degli artigiani e si fece artista anche lui: modellava crocifissi esercitando il suo apostolato. Con la stessa naturalezza e con lo stesso ideale, salì nei palazzi dei nobili e guarì la figlia della signora duchessa di Maddaloni. La sua fama crebbe di giorno in giorno: finché raggiunse la vetta per un miracolo strepitoso. Una barca di pescatori non riusciva a raggiungere la riva. Dal lido, temendo la tragedia, le donne piangevano disperate. Gerardo si fece un segno di croce e si buttò in mare, raggiunse la barca, l’afferrò con due dita e la portò sulla riva.
Materdomini. Verso la fine di giugno del 1754 Gerardo arrivò a Materdomini (AV). Gli restavano pochi mesi di vita. ebbe di preferenza l’ufficio di portinaio. “Padre mio, con queste chiavi spero di aprirmi le porte del Paradiso”. Questo incarico lo amò più degli altri, perché gli dava la possibilità di venire in aiuto dei poveri. In quell’inverno, per le abbondanti nevicate, molti operai, rimasti senza lavoro e senza pane, ingrossarono le file dei poveri abituali bussando alla porta del convento. Ai bisognosi in portineria faceva trovare grandi bracieri accesi, poi dispensava il cibo e, conversando, parlava loro di Dio trasferendo in essi l’amore a Dio e li rimandava a casa rifocillati nel corpo e nello Spirito. Si commuoveva per i bambini che scaldava con le sue mani e li nutriva. Si commuoveva per i poveri vergognosi e per le ragazze tentate di barattare il proprio amore per un pezzo di pane. Si commuoveva per i malati abbandonati nelle luride stamberghe e moltiplicava la sua presenza per giungere a tutti. In tanta miseria vuotò guardaroba, dispensa, cucina. Dio manifestò la santità del suo servo con miracoli: moltiplicando i viveri. Sarà chiamato in Caposele (AV) “Padre dei poveri”.
Molti paesi furono testimoni della sua carità. Minato dalla tubercolosi si consumò sul letto divenuto per lui un altare su cui si sacrificava per salvezza del mondo. Sulla porta della sua celletta fece apporre una scritta: “Qui si fa la volontà di Dio, come vuole Dio e per tutto il tempo che vuole Dio”. Sorridendo alla Madonna che gli era apparsa ed esclamando “oh la Madonna! Quanto è bella!” La sua anima volò al cielo. Erano circa le due del mattino del 16 ottobre 1755.
La sua opera continua ancora attraverso la sua vita e il suo insegnamento. Egli ripete agli uomini di oggi un messaggio di libertà e di gioia: di libertà interiore, nell’amore appassionato verso Dio e i fratelli. San Gerardo è invocato Patrono delle mamme, delle partorienti, delle gestanti e dei bambini.
L’odierna devozione per San Gerardo Maiella varca i confini della nazione, difatti non si esaurisce nei paesi dell’Europa, ma in tutto il mondo sono sorte associazioni che ne mantengono vivo il culto.
Strepitosi miracoli, attuati per sua intercessione, si verificarono proprio a San Giorgio del Sannio (BN), in particolare nell’agosto del 1867 e nel dicembre del 1901. Il primo riguardò il dodicenne Lorenzo Riola (1857-1920), il quale, colpito da grave tubercolosi meseraica che in breve tempo lo portò in fin di vita, recitò una novena all’allora Venerabile Gerardo Maiella, ottenendo in sogno ciò che la medicina non esitò a dichiarare “miracolosa guarigione”. Il secondo prodigio, invece, venne attuato a beneficio di Michele De Spirito (1864-1938), un pio uomo di fede che, agli inizi del secolo scorso, venne colpito dalla tisi (lo stesso male di cui soffrì San Gerardo). Anche lui, ridotto in fin di vita, invocando l’aiuto e la protezione del Beato Gerardo Maiella vide, in sogno, apparire nella sua camera da letto il giovane redentorista che, dopo avergli scoperto il petto e fatto baciare il Crocifisso, lo guarì miracolosamente. La devozione verso San Gerardo crebbe sempre di più e numerosi sono ancora oggi i devoti che arrivano ai piedi del prodigioso simulacro per mostrargli la loro gratitudine, tanto che il 29 gennaio 2022, nel 129° anniversario della sua Beatificazione, la Chiesa Madre di San Giorgio del Sannio è stata elevata al titolo di Santuario Diocesano per il culto in onore di San Gerardo Maiella.